Riflessioni a conclusione degli incontri genitori 2018

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Qualche tempo fa stavo pensando ad una immagine per preparare l’invito agli incontri della Scuola Genitori appena conclusasi.
Ho cercato subito un’immagine del “Padre Misericordioso” e con gli amici abbiamo scelto l’opera di Chagall. In quell’abbraccio del Padre c’è tutto quel che desideravo potesse essere comunicato alle famiglie e soprattutto ai papà, numerosissimi, che si sono mobilitati  per seguire il ciclo di quest’anno.

Abbiamo iniziato con la straordinaria testimonianza di Don Marco Pozza, cappellano del carcere “Due palazzi” di Padova, scrittore giornalista e teologo.

Don Marco ci ha introdotto, attraverso il racconto della sua esperienza con i carcerati e narrando la storia della sua famiglia, al cuore  della parabola del “Padre Misericordioso”, facendoci immedesimare nelle parole, nello sguardo, nei gesti di un Padre che veramente ama  la libertà. La libertà di aver due figli e di accettare che intraprendano strade diverse.

Un figlio trova la forza di tornare a casa, perché ha la certezza segreta nel cuore che suo padre e lì ad aspettarlo.

Il lavoro, prima televisivo e poi editoriale, nato dall’incontro personale e dall’amicizia con Papa Francesco, è stato raccontato da Don Marco trasmettendo tutta la ricchezza e lo stupore per una esperienza veramente unica e preziosa.

L’accorgersi di pregare il Padre nostro come una abitudine è stata l’occasione per tornare a quelle parole dette tante volte e riscoprine tutto il senso e la pertinenza con la quotidianità.

Narrando di suo padre Don Marco lo ha così definito: “Oserei spingermi fin lì: mio papà è un uomo che tante volte io ho disprezzato e ho voltato lo sguardo da lui, però, ogni volta che l’ho rivoltato, ho scoperto che lui ha continuato a guardarmi. Di fronte ad un papà così, per me non è difficile immaginare che ci sia un papà in cielo che ha le stesse credenziali del mio papà oppure che il mio papà ha le stesse credenziali di quello che è in cielo”.

Abbiamo potuto toccare con mano la stoffa della paternità attraverso la storia dei carcerati che si sentono guardati da un Padre che perdona e la gratitudine per l’amicizia di Don Marco con Papa Francesco, che proprio come un papà, ci insegna a pregare con un cuore nuovo.

Don Vincent Nagle, sacerdote missionario della Fraternità di San Carlo, ci ha accompagnato con grande intelligenza, passione e con uno stile unico, nel secondo incontro, introducendo il tema della crisi della paternità.

Mentre sembra chiarissimo il ruolo della madre, appare oggi difficile rispondere alla domanda: a cosa serve un padre? L’amore paterno che cos’è? Nei vangeli Gesù chiama il Padre “Colui che mi ha mandato”.

Lo sguardo paterno urge quindi verso una missione uno scopo, una avventura, una strada che ti porta in fondo alla esperienza di vita anche attraverso la sofferenza e alla morte per una gloria, una vittoria, una missione.

Vale la pena vivere e soffrire? Noi viviamo in una cultura che non è in grado di affrontare questo e siamo quindi in continua fuga.

Ma ogni cuore umano che vuole essere vivo mendica la sua missione, non mendica di stare bene nel suo guscio.  Per aprire gli orizzonti uno deve uscire, ma non perché ha il coraggio, la forza e i mezzi, ma perché  mandato da un padre che,  con il suo sguardo, garantisce che la vittoria c’è, nonostante tutte le debolezze e le sconfitte.

Il padre ha lo scopo di testimoniare con la sua vita, che l’amore è introdurre un figlio ad un orizzonte più grande dentro ad un eterno perdono: perdonare i limiti, le contraddizioni e i tradimenti per far capire ad un figlio che non ha perso la missione, lo scopo, il significato per cui è nato.

Ha concluso questa bella avventura l’incontro con Enrico Craighero, padre di tre figli, di cui due disabili.

Una testimonianza straordinaria, concretissima e commovente. Un uomo che ci ha raccontato con verità  che cosa sia la libertà, nostra e dei nostri figli.

La libertà è una presenza che ti introduce alla vita e per essere liberi i figli hanno bisogno di un padre e una madre che li abbracci così come sono.

Enrico, incapace per i primi quattro anni, di accettare questi figli così diversi da come li aveva immaginati, si accorge dello sguardo lieto di sua moglie, di come lei li guardava, e inizia a desiderare anche per sé questo sguardo.

La paternità è comunicare la certezza che il cuore dei nostri figli “è fatto bene” e lo si può comunicare solo se si è lieti, con tutta la pazienza di aspettare, imitando Dio, che ci aspetta sempre.

Un figlio può leggere sulla tua faccia che la realtà è positiva, c’è una bellezza, la possibilità di uno stupore e la sua libertà si muove solo per un fascino.

E vale la pena non risparmiare la fatica e d il sacrificio e non aver paura dell’inquietudine dei nostri figli, che è un dono, una occasione.

Tutti gli anni riprendo in mano questa proposta e tutti gli anni ringrazio il Buon Dio che mi permette, ci permette di incontrare dei testimoni.

Una bella avventura che non finisce mai di stupirmi: tanti volti attenti, sguardi desiderosi di un bene, incontri inaspettati  e la certezza di una amicizia e di un luogo che ci sostiene nel cammino.

 

Elena Chrappan Soldavini