Incontri Genitori 2020 – Riflessioni finali

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 Riflessioni a conclusione degli incontri genitori 2020
 di Elena Chrappan Soldavini

Padri perché figli: un titolo semplice e sintetico, per un tema fondamentale.
La proposta fatta quest’anno ai genitori nel mese di gennaio è andata diretta al cuore della questione educativa.
Mi colpisce sempre vedere tanti volti, veramente tanti, attenti, desiderosi di condividere la vita, liberi nel raccontarsi, tesi a essere generati dall’incontro con una umanità viva.
E’ veramente difficile sintetizzare la ricchezza respirata, ma provo a proporre per ciascun incontro alcuni spunti che personalmente mi hanno colpito e rimesso in moto rispetto al modo con cui guardo mio marito, i miei figli, la mia famiglia e quanti incontro sul cammino.

Luigi Ballerini ci ha sollecitato sul tema “offrire il reale”, cioè favorirlo, senza essere spaventati, certi che la realtà è positiva, ossia che è un posto bello dove stare, da cui può venir fuori qualcosa di buono per noi e per i nostri ragazzi. Il reale è un posto interessante dove mettersi all’opera, perché, per poter realmente offrire il reale, dobbiamo viverlo noi in prima persona: “si educa quando non si educa”, cioè si educa vivendo. La questione è nostra, di noi adulti: i figli costantemente tengono monitorati i nostri trattamenti, ossia come trattiamo il lavoro, come trattiamo il nostro sposo o la nostra sposa, come trattiamo i nostri amici, come trattiamo i soldi, come trattiamo il tempo libero, come trattiamo i nostri interessi, le nostre passioni.
I nostri figli desiderano piacerci, desiderano incontrare adulti che siano interessati a loro, ai loro pensieri, ai giudizi che maturano.
I figli non sono nostri prodotti, non sono pezzi di pongo che abbiamo plasmato. Averlo presente è estremamente liberante e ci permette anche di accettare quegli scarti che ci sono tra “il come li vorremmo” e “il come sono”, trovando il modo più intelligente per correggerli, senza mortificarli.
Possiamo quindi aiutarci vicendevolmente, aprendo le nostre case e facendo crescere le relazioni, a vedere la bellezza dei nostri figli, spesso ridotti ai successi/insuccessi scolastici, a guardare a quel punto positivo personale da cui ripartire, che può anche essere lontano da quello che immaginiamo noi.
E questo punto di positività è nostro alleato, perché tutti i ragazzi vogliono stare bene, lo desiderano, desiderano stare bene con gli altri.
Il giovane rettore Francesco Fadigati ci ha testimoniato la sua esperienza educativa con i ragazzi, a partire da una analisi dei segnali dell’emergenza educativa che stiamo vivendo: il disinteresse per il reale, un lessico che si impoverisce, il dubbio sul proprio valore, una crescente paura della realtà, una sempre più forte dipendenza dalla moda, una sempre maggiore impazienza.
E allora da dove è possibile ripartire?
E’ possibile ripartire dal cuore: c’è un cuore, anche nel ragazzo più devastato, c’è una fame di vita, c’è un desiderio di intensità, c’è un desiderio che la vita sia vita e che la felicità sia felicità e che la vita sia bella.
C’è nei nostri ragazzi un grido che è veramente struggente, appassionante.
Ma davanti a questo grido, allora, che cosa ci è chiesto come adulti?
Ci è chiesto di essere adulti vivi: adulti che per come sono, non per quello che dicono, ma per come vivono, possono avere qualche chance di mobilitare la libertà dei ragazzi, di provocarli, di invitarli ad una vita più bella, a capire che la vita è buona.
E’ come se ci chiedessero: «Guarda, insegnami quello che vuoi, ma abbi dentro, per favore, la speranza che cerco».
Anche se imperfetti e pieni di limiti, siamo chiamati ogni giorno a diventare cercatori della speranza, a cercare maestri di speranza.
Educhiamo, se viviamo l’avventura di scoprire che cos’è la realtà, che cos’è il significato, che cos’è il bene della vita.
Possiamo educare solo se diventiamo di nuovo figli, se per noi l’educazione diventa un cammino che cambia il nostro sguardo.
I nostri figli hanno bisogno di sentire una stima radicale, non una stima dichiarata, ma una stima che si fonda sulla stessa cosa su cui si fonda la stima per noi stessi: che ci sono, che qualcuno mi ha voluto, che qualcuno mi dà respiro.
L’educazione vera è quindi misericordia: un amore che ti ama perché ci sei.
Con Don Alberto Frigerio abbiamo concluso il percorso tornando all’origine: a quell’amore sponsale da cui tutto fiorisce.
Siamo stati accompagnati con una profondità assoluta a ripercorrere la visione biblica dell’amore a partire dalla citazione di San Paolo VI «Il cristianesimo non è facile, ma è felice».
Il cristianesimo è annuncio esigente, in quanto propone una chiamata grande e nobile, che richiede tenacia e dedizione, come è per tutte le cose grandi della vita.
L’annuncio cristiano, non avvelena l’Eros, ma lo libera, illuminando il senso della sessualità umana e tracciando la strada alla piena realizzazione dell’amore.
Oggi assistiamo alla crisi della definitività, alla crisi del “per sempre”. Questa crisi ci invita a porci la domanda: il “per sempre” del vincolo coniugale è laccio o libertà? Le scelte irrevocabili mortificano o realizzano la libertà?
In realtà il “per sempre” è elemento costitutivo dell’amore umano: la ricerca della definitività è radicata nell’animo dell’uomo.
Ciascuno di noi anela a essere abbracciato per sempre e in tutta la sua persona, “nella buona e cattiva sorte, nella gioia e nel dolore, nella salute e malattia”, nei momenti di luce e in quelli di buio, negli eventi gioiosi e in quelli dolorosi. La definitività del matrimonio non lede l’amore, ma realizza il reciproco, pieno e definitivo donarsi e accogliersi degli amanti. Si tratta dunque di convertire lo sguardo e muovere dalla logica della prova a quella della definitività.
Certo, la definitività, che pure attira (quale amante non desidererebbe trascorrere tutta la vita con la persona amata? ) fa anche venire le vertigini.
Quali sono allora le fondamenta su cui costruire: coltivare la stima reciproca e vivere il rapporto dentro una vita di comunità.
La stima dell’altro, il riconoscimento che l’altro è importante per la propria vita, nasce e matura nella condivisione e comunanza d’intenti. Nel matrimonio non è necessario e per la verità neppure possibile concordare su tutto, piuttosto, è decisivo coltivare la comunione di sguardo e giudizio sui temi decisivi del vivere: fede, amicizia, educazione dei figli.
La stima dell’altro ha fondamento ultimo nel riconoscimento dell’altro come compagno di vita dato da Dio. È questo riconoscimento, almeno come intuizione iniziale, a costituire la roccia del vincolo coniugale
Il rapporto coniugale chiede di essere vissuto entro una forte appartenenza comunitaria, in cui sempre è possibile guardare a esempi e trovare sostegno, in particolare nei momenti di fatica. La ribellione del figlio, il litigio col coniuge, il tradimento del coniuge, la malattia di un familiare, tutti questi eventi, che possono segnare la vita matrimoniale, chiedono, per essere affrontati, di un aiuto concreto: amici con cui confrontarsi, un prete con cui confidarsi, realtà educative con cui collaborare nell’educazione dei figli. La comunità è luogo di sostegno e cura della famiglia.
Concludo esprimendo la gratitudine per le testimonianze che ci sono state offerte e per aver potuto guardare con stupore. ancora una volta, al dono della comunità cristiana che ci aspetta sempre, ci accoglie e instancabilmente ci accompagna nel cammino.